Partecipo ormai ogni sera alla messa in scena de l’Inferno, dalla Divina Commedia, avendo risposto alla “chiamata pubblica” di Marco Martinelli ed Ermanna Montanari (Teatro delle Albe, Ravenna, e Ravenna Festival). E con me oltre 600 cittadini, tutti volontari e non professionisti. Sono nel coro (in senso dantesco, non si canta!) degli Avari e Scialacquatori, le due facce del rapporto malato con il denaro.

Durante le prove - 1

Durante le prove – 1

La fase clou della nostra scena consiste in una lotta simulata fra 8-10 coppie che verso il finale rompe le righe e tende a diventare un tutti contro tutti. Avari contro scialacquatori, dopo essersi fronteggiati a distanza ed essersi scambiati accuse urlanti, terminate dalla citazione dal canto VII “perché tieni? (trattieni)” e “perché burle? (sperperi)”, ingaggiano un corpo a corpo liberatorio dove è proprio il corpo lo strumento di conoscenza dell’altro: contatti, pressioni, scivolamenti, calore, pelle su pelle, strette, mani nei capelli, mani attorno al collo, braccia fra i denti (“morsi”), spinte, sollevamenti…attraverso questa successione e ripetizione di contatti senti il corpo dell’altro in tutta la sua umanità ed animalità: chi è nervoso, chi leggero, chi lento e massiccio, chi agile e scattante, chi conferma pienamente con i movimenti l’espressione cattiva del volto, e chi meno; chi è sfrontato e chi è timido. Sì, perchè da come risponde il corpo si intuisce il carattere della persona che hai di fronte.

Durante le prove - 2

Durante le prove – 2

Tutto il tempo della lotta è cadenzato dalle percussioni e accompagnato dal monologo e incitamento di Ermanna sull’umana gente che si “rabbuffa” e si accapiglia “per tutte le ricchezze che stan sotto la luna”. Sul finire della scena il groviglio di corpi è impressionante, siamo sdraiati a terra l’uno sull’altro, il respiro affannato dell’uno solleva ritmicamente le membra dell’altro che stanno parzialmente accasciate su di te. Non proferiamo parole. Tutto si sente e si comunica col corpo.

Sul finire della scena

Sul finire della scena

Finita la scena il pubblico si allontana per andare ad occupare altri spazi di un teatro rivoluzionato, per vedere altre scene, altri gironi. Noi finalmente ci alziamo, ci abbracciamo, commentiamo e sorridiamo. Gli abiti di scena (pantaloni stracciati e magliette sbrindellate) non sono assegnati individualmente, ma presi ogni sera da quelli disponibili. L’organizzazione è meritoria e compie sforzi immani, ma talvolta non riesce a farci indossare abiti appena lavati, abiti che comunque sono ripuliti con uno spray… ecco, letteralmente ci si mette nei panni degli altri! E nessuno si è lamentato. Durante il corpo a corpo naturalmente puoi ricevere o dare involontariamente una ginocchiata, perdere il controllo di una gomitata, far rintoccare la tua testa contro quella del vicino. Così affiora qua e là qualche livido, e roteare le giunture sul pavimento liscio fa comparire croste a gomiti e ginocchia. Lividi, croste. Come quando ero bambino e giocavo in cortile. Aveva ragione Giorgio Albertazzi, quando in una delle sue ultime interviste diceva “…però ci vogliono molti anni per diventare giovane”. Andate a teatro, andateci dentro!

Iscriviti qui alla newsletter

Iscriviti qui alla newsletter

Riceverai gli aggiornamenti da Visuale Digitale direttamente nella tua casella di posta.

Non preoccuparti, so che non ti occorre un sito web o un reportage fotografico alla settimana! Ti informerò con discrezione.

Con la conferma accetti che i tuoi dati vengano utilizzati per gli scopi definiti nell'informativa privacy di questo sito

Ti sei iscritto!

Share This